13 giugno 2008

Cléo de Mérode


La Bellezza ci salverà........
Da Wikipedia:
"Cléopatra Diane de Mérode, famosa con il nome d'arte di Cléo de Mérode (Parigi, 27 settembre 1875Parigi, 17 ottobre 1966), è stata una ballerina francese.
Nata da nobile famiglia
belga e figlia di artisti (il padre era un pittore), fu avviata alla danza in giovane età presso la scuola dell'Opéra national de Paris, dimostrando buona attitudine alla disciplina. Il suo debutto avvenne appena undicenne.
In breve il successo le arrise, e la sua bellezza e grazia divenirono un solido punto di riferimento per le donne
francesi, che ne imitarono stile e modo di vestire. Posò come modella per diversi artisti, tra i quali Toulouse-Lautrec ed Edgar Degas.
Celebre fu la sua relazione segreta con il monarca
Leopoldo II del Belgio. Morì a Parigi ed è tuttora sepolta nel cimitero di Père Lachaise."
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CRONACA
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LEGGEREZZA DEL GIORNO
Al momento la mia autostima è bassa, però esprimo questo disagio in maniera sana. Mangiando un'intera scatola di biscotti, ad esempio.
> Miranda Hobbes (Cynthia Nixon, Sex and the City)
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DIARIO PERSONALE
Finita la settimana. Diciamo che la noia l'hanno fatta abbastanza da padrona, sebbene io mi sia sforzato di vivacizzare il tutto. Non c'è niente da fare, devo arrendermi, se non trovo il coraggio di cambiare dentro, vedrò le cose sempre allo stesso modo, in grigio.

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3 Comments:

Blogger jim said...

DA REPUBBLICA NAPOLI.IT:

VIAGGIO NEI SEGRETI DELLA CAVA
"FALDA D'ACQUA A 160 METRI"
di Antonio Corbo

L´ordine arriva in serata a Chiaiano: nella Cava del Poligono le indagini non si fermano. Sono lentamente riprese lunedì, appena riparata la sonda che si era rotta venerdì, nell´impatto con uno strato di pietra lavica a ottanta metri di profondità. Si procede a piccoli passi verso una verità che ormai tutti conoscono: la cava è idonea. Più che il giudizio finale, si cerca un verdetto condiviso, secondo i patti tra Bertolaso, Municipalità di Chiaiano, Comune di Marano.

Conviene prendere tempo, perché il Commissariato possa raggiungere una soluzione politica. Fondata su tre elementi: che la cava sia compatibile con una discarica di rifiuti urbani solidi, che Napoli dia una prova di disponibilità per evitare così reazioni in Irpinia e Sannio che nel giro di dieci giorni aprono due discariche, che Chiaiano sia una pista davvero praticabile, tale da resistere a tutte le controindicazioni dei consulenti di Chiaiano e Marano.

Ma la cava di Chiaiano è idonea? La domanda batte sulla smorfia annoiata di uno degli esperti che eseguono i sondaggi. Come dire: e lo chiedete pure? Per la prima volta a "Repubblica" sono chiariti i rilievi delle stratigrafie svolte per conto dell´Arpac. Il direttore generale Luciano Capobianco ha ordinato il più rigoroso riserbo, lunedì mattina diffuse persino una nota per negare che l´Arpac avesse fornito informazioni sulla idoneità della Cava del Poligono. Nello staff di Bertolaso opera l´ex direttore dell´Arpap (Piemonte), sbarcato ieri a Capodichino.

Anche gli inesperti possono scoprire che cosa ci sia nel sottosuolo della Cava del Poligono di proprietà dell´Arciconfraternita dei Pellegrini, rappresentata dal geologo Ernesto Cravero. Dopo ogni trivellazione, la squadra operativa osserva in un monitor le immagini, di volta in volta raccolte in "cassette stratigrafiche". Come la "diagnostica per immagini" nella radiologia più avanzata. I risultati coincidono con gli studi dell´Arpat, Agenzia per la protezione dell´ambiente e dei servizi tecnici, che aggiorna una "Carta geologica". Il documento riappare nel "quadro di unione" dell´Istituto geologico militare: il sottosuolo italiano è diviso in 277 rettangoli. Quello di Chiaiano è nella frazione 184, scala 1:100.000.

È probabile che sia stata proprio la Carta geologica la base del rapporto scientifico fornito in anteprima a Gianni De Gennaro, quando il prefetto puntò su Chiaiano. Il futuro coordinatore dei servizi segreti non poteva incappare ancora una volta in un falso indirizzo, come al suo arrivo, prima che eliminasse dallo staff personaggi poi finiti nella "retata dei 25".

Le trivellazioni possono offrire un solo responso: la natura del sottosuolo. Se e dove sono falde d´acqua. La discarica rischia infatti di perdere percolato, un fiume nero di veleno liberato dai rifiuti. Questa sostanza inquina la falda e contamina le colture circostanti. Qui c´è la pregiata "ciliegia dell´Arecca" da salvaguardare. Almeno questo rischio a Chiaiano è escluso. La legge prescrive che la discarica sia almeno a due metri dalla falda, con una "barriera geologica" di un metro di argilla. A Chiaiano la si trova a circa 160 metri. A 155, secondo i dati forniti a Gianni De Gennaro qualche tempo fa.

Nel sottosuolo c´è tufo fino a 50-60 metri, quindi una fascia di materiali classici della geomorfologia campana fino a 80. Ecco poi la pietra lavica. Gli specialisti dell´Arpac correggono: «È paleotipo». Il paleotipo è uno strato non permeabile, come può immaginarsi, dai 5 ai 6 metri. La cava è blindata. Sotto, c´è una nuova fascia di materiali, quindi uno strato di lava, c´era da aspettarsela tra Solfatara e Vesuvio, infine la falda. Tra le obiezioni dei consulenti c´è che la guaina (tipo Hdpm) dura fino a 15 anni. L´Arpac ritiene che nel progetto ci siano ulteriori garanzie. La guaina scelta a Savignano e Sant´Arcangelo Trimonte è spagnola, considerata superiore a quella tedesca. Cava idonea, quindi. Ma è idonea anche Chiaiano?

Le perplessità sono fondate. Le quattro pareti (70, 55, 40, 20) del fossato secondo il geologo Giovan Battista De Medici possono ospitare fino a 150 mila tonnellate, e non 700 mila. Perché la superficie dei rifiuti sversati deve coincidere con la spalla più bassa. La vicinanza con la zona ospedaliera, la mancanza di una strada e l´esigenza di una via larga 4 metri e lunga oltre un km, la complessità del quartiere urbanizzato, i costi elevati per un volume ridotto: sono le valutazioni più delicate. Prima di scegliere una "cava idonea" in una sede incerta.
(11 giugno 2008)

13 giugno, 2008 15:21  
Anonymous Anonimo said...

DAL BLOG VOGLIOSCENDERE.IT :

15 giugno 2008, in Marco Travaglio

Arrestateci Tutti




l'Unità, 15 giugno 2008

L’altro giorno, fingendo di avanzare un’”ipotesi di dottrina”, Giovanni Sartori ha messo in guardia sulla Stampa dai ”dittatori democratici” e ha spiegato: “Con Berlusconi il nostro resta un assetto costituzionale in ordine, la Carta della Prima Repubblica non è stata abolita. Perché non c’è più bisogno di rifarla: la si può svuotare dall’interno. Si impacchetta la Corte costituzionale, si paralizza la magistratura… si può lasciare tutto intatto, tutto il meccanismo di pesi e contrappesi. E di fatto impossessarsene, occuparne ogni spazio. Alla fine rimane un potere ‘transitivo’ che traversa tutto il sistema politico e comanda da solo”. Non poteva ancora sapere quel che sarebbe accaduto l’indomani: il governo non solo paralizza la magistratura, ma imbavaglia anche l’informazione abolendo quella giudiziaria. E, per chi non avesse ancora capito che si sta instaurando un regime, sguinzaglia pure l’esercito per le strade.

Nei giorni scorsi abbiamo illustrato i danni che il ddl Berlusconi-Ghedini-Alfano sulle intercettazioni provocherà sulle indagini e i processi. Ora è il caso di occuparci di noi giornalisti e di voi cittadini, cioè dell’informazione. Che ne esce a pezzi, fino a scomparire, per quanto riguarda le inchieste della magistratura. Il tutto nel silenzio spensierato e irresponsabile delle vestali del liberalismo e del garantismo un tanto al chilo. Che, anzi, non di rado plaudono alle nuove norme liberticide. Non si potrà più raccontare nulla, ma proprio nulla, fino all’inizio dei processi. Cioè per anni e anni. Nemmeno le notizie “non più coperte da segreto”, perché anche su quelle cala un tombale “divieto di pubblicazione” che riguarda non soltanto gli atti e le intercettazioni, ma anche il loro “contenuto”. Non si potrà più riportarli né testualmente né “per riassunto”. Nemmeno se non sono più segreti perché notificati agli indagati e ai loro avvocati. Niente di niente.

L’inchiesta sulla premiata macelleria Santa Rita, con la nuova legge, non si sarebbe mai potuta fare. Ma, anche se per assurdo si fosse fatta lo stesso, i giornali avrebbero dovuto limitarsi a comunicare che erano stati arrestati dei manager e dei medici: senza poter spiegare il perché, con quali accuse, con quali prove. Anche l’Italia, come i regimi totalitari sudamericani, conoscerà il fenomeno dei desaparecidos: la gente finirà in galera, ma non si saprà il perché. Così, se le accuse sono vere, le vittime non ne sapranno nulla (i famigliari dei pazienti uccisi nella clinica milanese, che stanno preparando una class action contro i medici assassini, sarebbero ignari di tutto e lo resterebbero fino all’apertura del processo, campa cavallo). Se le accuse invece sono false (come nel caso di Rignano Flaminio, smontato dalla libera stampa), l’opinione pubblica non potrà più sapere che qualcuno è stato ingiustamente arrestato, né come si difende: insomma verrà meno il controllo democratico dei cittadini sulla Giustizia amministrata in nome del popolo italiano.

Chi scrive qualcosa è punito con l’arresto da 1 a 3 anni e con l’ammenda fino a 1.032 euro per ogni articolo pubblicato. Le due pene - detentiva e pecuniaria - non sono alternative, ma congiunte. Il che significa che il carcere è sempre previsto e, anche in un paese dov’è difficilissimo finire dentro (condizionale fino a 2 anni, pene alternative fino a 3), il giornalista ha ottime probabilità di finirci: alla seconda o alla terza condanna per violazione del divieto di pubblicazione (non meno di 9 mesi per volta), si superano i 2 anni e si perde la condizionale; alla quarta o alla quinta si perde anche l’accesso ai servizi sociali e non resta che la cella. Checchè ne dica l’ignorantissimo ministro ad personam Angelino Alfano.

E non basta, perché i giornalisti rischiano grosso anche sul fronte disciplinare: appena uno viene indagato per aver informato troppo i suoi lettori, la Procura deve avvertire l’Ordine dei giornalisti affinchè lo sospenda per 3 mesi dalla professione. Su due piedi, durante l’indagine, prim’ancora che venga eventualmente condannato. A ogni articolo che scrivi, smetti di lavorare per tre mesi. Se scrivi quattro articoli, non lavori per un anno, e così via. Così ti passa la voglia d’informare. Anche perché, oltre a pagare la multa, finire dentro e smettere di lavorare, rischi pure di essere licenziato.

D’ora in poi le aziende editoriali dovranno premunirsi contro eventuali pubblicazioni di materiale vietato, con appositi modelli organizzativi, perché il “nuovo” reato vien fatto rientrare nella legge 231 sulla responsabilità giuridica delle società. Significa che l’editore, per non vedere condannata anche la sua impresa, deve dimostrare di aver adottato tutte le precauzioni contro le violazioni della nuova legge. Come? Licenziando i cronisti che pubblicano troppo e i direttori che glielo consentono. Così usciranno solo le notizie che interessano agli editori: quelle che danneggiano i loro concorrenti o i loro nemici (nel qual caso l’editore si sobbarca volentieri la multa salatissima prevista dalla nuova legge, da 50 mila a 400 mila euro per ogni articolo, e accetta di buon grado il rischio di veder finire in tribunale la sua società). La libertà d’informazione dipenderà dalle guerre per bande politico-affaristiche tra grandi gruppi. E tutte le notizie non segrete non pubblicate? Andranno ad alimentare un sottobosco di ricatti incrociati e di estorsioni legalizzate: o paghi bene, o ti sputtano.

Ultima chicca: il sacrosanto diritto alla rettifica di chi si sente danneggiato o diffamato, già previsto dalla legge attuale, viene modificato nel senso che la rettifica dovrà uscire senza la replica del giornalista. Se Tizio, dalla cella di San Vittore, scrive al giornale che non è vero che è stato arrestato, il giornalista non può nemmeno rispondere che invece è vero, infatti scrive da San Vittore. A notizia vera si potrà opporre notizia falsa, senza che il lettore possa più distinguere l’una dall’altra. Tutto ciò, s’intende, se i giornalisti si lasceranno imbavagliare senza batter ciglio.

Personalmente, annuncio fin d’ora che continuerò a informare i lettori senza tacere nulla di quel che so. Continuerò a pubblicare, anche testualmente, per riassunto, nel contenuto o come mi gira, atti d’indagine e intercettazioni che riuscirò a procurarmi, come ritengo giusto e doveroso al servizio dei cittadini. Farò disobbedienza civile a questa legge illiberale e liberticida. A costo di finire in galera, di pagare multe, di essere licenziato. Al primo processo che subirò, chiederò al giudice di eccepire dinanzi alla Consulta e alla Corte europea la illegittimità della nuova legge rispetto all’articolo 21 della Costituzione e all’articolo 10 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (“Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche…”, con possibili restrizioni solo in caso di notizie “riservate” o dannose per la sicurezza e la reputazione). Mi auguro che altri colleghi si autodenuncino preventivamente insieme a me e che la Federazione della Stampa, l’Unione Cronisti, l’associazione Articolo21, oltre ai lettori, ci sostengano in questa battaglia di libertà. Disobbedienti per informare. Arrestateci tutti.

16 giugno, 2008 11:59  
Anonymous Anonimo said...

DAL BLOG VOGLIOSCENDERE.IT :

15 giugno 2008, in Marco Travaglio

Arrestateci Tutti




l'Unità, 15 giugno 2008

L’altro giorno, fingendo di avanzare un’”ipotesi di dottrina”, Giovanni Sartori ha messo in guardia sulla Stampa dai ”dittatori democratici” e ha spiegato: “Con Berlusconi il nostro resta un assetto costituzionale in ordine, la Carta della Prima Repubblica non è stata abolita. Perché non c’è più bisogno di rifarla: la si può svuotare dall’interno. Si impacchetta la Corte costituzionale, si paralizza la magistratura… si può lasciare tutto intatto, tutto il meccanismo di pesi e contrappesi. E di fatto impossessarsene, occuparne ogni spazio. Alla fine rimane un potere ‘transitivo’ che traversa tutto il sistema politico e comanda da solo”. Non poteva ancora sapere quel che sarebbe accaduto l’indomani: il governo non solo paralizza la magistratura, ma imbavaglia anche l’informazione abolendo quella giudiziaria. E, per chi non avesse ancora capito che si sta instaurando un regime, sguinzaglia pure l’esercito per le strade.

Nei giorni scorsi abbiamo illustrato i danni che il ddl Berlusconi-Ghedini-Alfano sulle intercettazioni provocherà sulle indagini e i processi. Ora è il caso di occuparci di noi giornalisti e di voi cittadini, cioè dell’informazione. Che ne esce a pezzi, fino a scomparire, per quanto riguarda le inchieste della magistratura. Il tutto nel silenzio spensierato e irresponsabile delle vestali del liberalismo e del garantismo un tanto al chilo. Che, anzi, non di rado plaudono alle nuove norme liberticide. Non si potrà più raccontare nulla, ma proprio nulla, fino all’inizio dei processi. Cioè per anni e anni. Nemmeno le notizie “non più coperte da segreto”, perché anche su quelle cala un tombale “divieto di pubblicazione” che riguarda non soltanto gli atti e le intercettazioni, ma anche il loro “contenuto”. Non si potrà più riportarli né testualmente né “per riassunto”. Nemmeno se non sono più segreti perché notificati agli indagati e ai loro avvocati. Niente di niente.

L’inchiesta sulla premiata macelleria Santa Rita, con la nuova legge, non si sarebbe mai potuta fare. Ma, anche se per assurdo si fosse fatta lo stesso, i giornali avrebbero dovuto limitarsi a comunicare che erano stati arrestati dei manager e dei medici: senza poter spiegare il perché, con quali accuse, con quali prove. Anche l’Italia, come i regimi totalitari sudamericani, conoscerà il fenomeno dei desaparecidos: la gente finirà in galera, ma non si saprà il perché. Così, se le accuse sono vere, le vittime non ne sapranno nulla (i famigliari dei pazienti uccisi nella clinica milanese, che stanno preparando una class action contro i medici assassini, sarebbero ignari di tutto e lo resterebbero fino all’apertura del processo, campa cavallo). Se le accuse invece sono false (come nel caso di Rignano Flaminio, smontato dalla libera stampa), l’opinione pubblica non potrà più sapere che qualcuno è stato ingiustamente arrestato, né come si difende: insomma verrà meno il controllo democratico dei cittadini sulla Giustizia amministrata in nome del popolo italiano.

Chi scrive qualcosa è punito con l’arresto da 1 a 3 anni e con l’ammenda fino a 1.032 euro per ogni articolo pubblicato. Le due pene - detentiva e pecuniaria - non sono alternative, ma congiunte. Il che significa che il carcere è sempre previsto e, anche in un paese dov’è difficilissimo finire dentro (condizionale fino a 2 anni, pene alternative fino a 3), il giornalista ha ottime probabilità di finirci: alla seconda o alla terza condanna per violazione del divieto di pubblicazione (non meno di 9 mesi per volta), si superano i 2 anni e si perde la condizionale; alla quarta o alla quinta si perde anche l’accesso ai servizi sociali e non resta che la cella. Checchè ne dica l’ignorantissimo ministro ad personam Angelino Alfano.

E non basta, perché i giornalisti rischiano grosso anche sul fronte disciplinare: appena uno viene indagato per aver informato troppo i suoi lettori, la Procura deve avvertire l’Ordine dei giornalisti affinchè lo sospenda per 3 mesi dalla professione. Su due piedi, durante l’indagine, prim’ancora che venga eventualmente condannato. A ogni articolo che scrivi, smetti di lavorare per tre mesi. Se scrivi quattro articoli, non lavori per un anno, e così via. Così ti passa la voglia d’informare. Anche perché, oltre a pagare la multa, finire dentro e smettere di lavorare, rischi pure di essere licenziato.

D’ora in poi le aziende editoriali dovranno premunirsi contro eventuali pubblicazioni di materiale vietato, con appositi modelli organizzativi, perché il “nuovo” reato vien fatto rientrare nella legge 231 sulla responsabilità giuridica delle società. Significa che l’editore, per non vedere condannata anche la sua impresa, deve dimostrare di aver adottato tutte le precauzioni contro le violazioni della nuova legge. Come? Licenziando i cronisti che pubblicano troppo e i direttori che glielo consentono. Così usciranno solo le notizie che interessano agli editori: quelle che danneggiano i loro concorrenti o i loro nemici (nel qual caso l’editore si sobbarca volentieri la multa salatissima prevista dalla nuova legge, da 50 mila a 400 mila euro per ogni articolo, e accetta di buon grado il rischio di veder finire in tribunale la sua società). La libertà d’informazione dipenderà dalle guerre per bande politico-affaristiche tra grandi gruppi. E tutte le notizie non segrete non pubblicate? Andranno ad alimentare un sottobosco di ricatti incrociati e di estorsioni legalizzate: o paghi bene, o ti sputtano.

Ultima chicca: il sacrosanto diritto alla rettifica di chi si sente danneggiato o diffamato, già previsto dalla legge attuale, viene modificato nel senso che la rettifica dovrà uscire senza la replica del giornalista. Se Tizio, dalla cella di San Vittore, scrive al giornale che non è vero che è stato arrestato, il giornalista non può nemmeno rispondere che invece è vero, infatti scrive da San Vittore. A notizia vera si potrà opporre notizia falsa, senza che il lettore possa più distinguere l’una dall’altra. Tutto ciò, s’intende, se i giornalisti si lasceranno imbavagliare senza batter ciglio.

Personalmente, annuncio fin d’ora che continuerò a informare i lettori senza tacere nulla di quel che so. Continuerò a pubblicare, anche testualmente, per riassunto, nel contenuto o come mi gira, atti d’indagine e intercettazioni che riuscirò a procurarmi, come ritengo giusto e doveroso al servizio dei cittadini. Farò disobbedienza civile a questa legge illiberale e liberticida. A costo di finire in galera, di pagare multe, di essere licenziato. Al primo processo che subirò, chiederò al giudice di eccepire dinanzi alla Consulta e alla Corte europea la illegittimità della nuova legge rispetto all’articolo 21 della Costituzione e all’articolo 10 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (“Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche…”, con possibili restrizioni solo in caso di notizie “riservate” o dannose per la sicurezza e la reputazione). Mi auguro che altri colleghi si autodenuncino preventivamente insieme a me e che la Federazione della Stampa, l’Unione Cronisti, l’associazione Articolo21, oltre ai lettori, ci sostengano in questa battaglia di libertà. Disobbedienti per informare. Arrestateci tutti.

16 giugno, 2008 11:59  

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